In Italia non esiste, per legge, una distinzione netta tra i prodotti artigianali, industriali e semilavorati e per questo, i casi di finto gelato artigianale sono molti, più di quanto si possa credere. L’ultimo riguarda una rinomata catena di gelaterie, che ha dovuto togliere dal proprio sito internet la definizione di “artigianale”. La ditta è famosa per l’elevato livello qualitativo delle materie prime utilizzate e infatti impiega prodotti biologici, latte fresco di alta qualità, acqua di sorgente piuttosto che prodotti Igp come i limoni di Siracusa. Eppure quel gelato non può essere definito artigianale perché con tale termine vengono definiti i gelati freschi prodotti nel luogo dove vengono venduti, nei retrobottega. Il laboratorio dove vengono prodotte le miscele liquide per fare il gelato “come una volta”, invece, è situato in una località dell’Italia settentrionale. Da lì le miscele vengono smistate ovunque in Italia, così come a New York, Malibu, Parigi e Tokyo. Nei negozi avviene solo la mantecazione, ossia le miscele liquide diventano gelato cremoso.

Il gelato così prodotto è artigianale o industriale? “Per il gelato artigianale si dovrebbero usare latte fresco, non in polvere, e frutta fresca – spiega il responsabile qualità di Coldiretti Rolando Manfredini – ma per legge non è vietato utilizzare aromi, coloranti e additivi. E dunque chi fa il vero gelato artigianale subisce una concorrenza sleale da parte di chi utilizza sostanze chimiche”. E, in effetti, anche nei retrobottega c’è modo e modo di fare il gelato. Molti usano aromi o addensanti, in altri casi si limitano ad aggiungere latte o acqua a una polverina per poi mantecare. Anche quello è artigianale, se vogliamo dare quell’etichetta al gelato fatto sul posto. Federconsumatori, che da sempre sostiene e promuove i prodotti a km zero, ritiene che il gelato artigianale rimanga, comunque, quello creato con materie prime fresche e prodotto da artigiani in loco.

 

Caterina Taverna